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Il nostro cervello in Natura

Al terzo giorno di un viaggio in tenda tra i canyon maestosi e selvaggi vicino a Bluff (Utah), Strayer spiega a 22 studenti di psicologia quello che definisce effetto dei tre giorni: il cervello umano è una macchina che si affatica facilmente.

Sospendere le attività inutili e trascorrere un po’ di tempo in un ambiente naturale migliora le nostre prestazioni mentali, oltre a produrre un effetto ristoratore.

David Strayer, psicologo cognitivista della University of Utah, pensa di aver scoperto quale sia l’antidoto ai problemi dell’uomo moderno: la Natura.

Strayer ne ha avuto prova con un gruppo di giovani che, dopo tre giorni di campeggio in mezzo alla natura, hanno mostrato un miglioramento del 50% della loro capacità nel completare esercitazioni creative di problem solving (analisi e soluzione di una situazione problematica).

Quando restiamo immersi nella natura per un certo periodo di tempo, è come se il parabezza della nostra mente si pulisse, è questo l’effetto dei tre giorni.

«Il terzo giorno i miei sensi si riattivano completamente e sento odori e rumori che prima non percepivo», dice Strayer, «Quando si vivono appieno le situazioni per due o tre giorni sembra che si produca una differenza nel pensiero qualitativo».

Strayer ha ipotizzato che stare a contatto con la natura consenta alla corteccia prefrontale, il centro di comando del cervello, di lavorare con meno intensità e di riposare, come un muscolo sovraffaticato. Se avesse ragione, l’elettroencefalografo (EEG) dovrebbe mostrare una riduzione dell’energia proveniente dalle onde theta della linea mediana frontale, indicative del pensiero concettuale e dell’attenzione sostenuta.

Spinti dalla diffusione su vasta scala di problemi di salute pubblica come l’obesità, la depressione e la miopia, tutti chiaramente associati al tempo trascorso in ambienti chiusi, Strayer e altri scienziati guardano con rinnovato interesse alla benefica influenza della natura sul corpo e sul cervello. Basandosi sui progressi di discipline come le neuroscienze e la psicologia, le misurazioni – dagli ormoni dello stress alla frequenza del battito cardiaco, dalle onde cerebrali ai marcatori proteici – dimostrano che quando passiamo del tempo negli spazi verdi, «in noi accade qualcosa di profondo», come dice Strayer.

I ricercatori britannici della Medical School della University of Exeter hanno recentemente analizzato i dati della salute mentale di 10 mila persone residenti in città. Lo studio ha dimostrato che i soggetti che vivevano nelle vicinanze di spazi verdi riferivano un livello inferiore di stress mentale. Nel 2009 un team di ricercatori olandesi ha accertato una minore incidenza di 15 patologie, tra cui depressione, ansia, malattie cardiache, diabete, asma ed emicranie, nelle persone che vivevano nel raggio di un chilometro da uno spazio verde. anche i tassi di mortalità più bassi e una quantità inferiore di ormoni dello stress presenti nel sangue sono stati messi in correlazione con la vicinanza di uno spazio verde.

Richard Mitchell, epidemiologo della University of Scotland, ha condotto uno studio statisticamente significativo da cui sono risultati tassi inferiori di mortalità e di malattia nelle persone che vivono vicino ad un parco o un’area verde. «Diverse ricerche, sia nostre che di altri studiosi, hanno dimostrato la presenza di questi effetti ricostituenti anche in coloro che non approfittavano del verde per le passeggiate», precisa Mitchell. Inoltre, i soggetti con il reddito più basso sembravano ricavare i maggiori benefici.

Gli studiosi ipotizzano che la natura agisca principalmente sulla riduzione dello stress. La possibilità di vedere alberi e prati dalle finestre influenza in modo significativo il processo di guarigione in ospedale, i risultati scolastici e persino i comportamenti nei quartieri ad alto tasso di aggressività.

Le misurazioni degli ormoni dell’stress, della respirazione, del ritmo cardiaco e della sudorazione indicano che anche quando è assunta in piccole dosi, e persino solo per immagini, la natura tranquillizza le persone e migliora le loro prestazioni.

In Svezia la dottoressa Matilda van den Bosch ha scoperto che, dopo aver sottoposto i soggetti a un impegnativo esercizio di matematica, la variabilità del loro ritmo cardiaco – che diminuisce con lo stress – tornava più velocemente a livelli normali quando questi rimanevano seduti per 15 minuti in un ambiente di realtà virtuale immersiva, circondati da immagini della natura e cinguettii d’uccelli.

Una passeggiata di 15 minuti in un bosco produce cambiamenti reali e misurabili a livello fisiologico. Il team di studiosi giapponesi della Chiba University ha mandato 84 volontari a camminare nei boschi, mentre altrettanti volontari passeggiavano per le strade cittadine. Coloro che hanno camminato nel verde hanno riportato una riduzione del 16% del cortisolo (l’ormone dello stress), un calo del 2% della pressione sanguigna e uno del 4% del ritmo cardiaco. Secondo Miyazaki, a capo dello studio, il nostro corpo si rilassa in un ambiente naturale piacevole perché è quello il luogo in cui si è evoluto. I nostri sensi, sostiene, si sono adattati per interpretare le informazioni sulle piante e sui corsi d’acqua, non sul traffico e i grattacieli.

Eppure tutte queste prove degli effetti benefici della natura arrivano in un momento in cui il distacco dell’uomo dall’ambiente naturale è ai massimi livelli.

Lisa Nisbet, docente di psicologia alla Canada Trent University afferma che «La gente sottovaluta i benefici di un maggior contatto con la Natura, non pensa che possa essere motivo di felicità e invece lo attribuisce allo shopping e alla tv. Eppure noi esseri umani ci siamo evoluti nella natura, ed è strano che adesso ne siamo così distanti». Qualcuno, però, sta tentando di cambiare la situazione.

Nooshin Razani, dell’UCSF Benioff Children’s Hospital di Oakland, in California, è tra i medici che si sono accorti dei nuovi dati sulla correlazione tra Natura e Salute. Rozani addestra i pediatri a inserire le visite ai parchi nelle prescrizioni per i piccoli pazienti e le loro famiglie.

Le autorità di alcuni Paesi hanno iniziato a promuovere politiche di salute pubblica che includano esperienze a contatto con la Natura. In Finlandia, una nazione che lotta contro tassi elevati di depressione, alcolismo e suicidio, un gruppo di ricercatori finanziato dallo Stato ha chiesto a migliaia di persone di valutare il proprio umore e il livello di stress dopo aver visitato aree verdi e zone urbane. Basandosi su questo e altri studi simili, la professoressa Liisa Tyrväinen e il suo team del Natural Resources Institute Finland ritengono che, per tenere lontana la tristezza, un individuo dovrebbe stare a contatto con la Natura almeno 5 ore al mese, magari suddivise in diversi periodi brevi ogni settimana.

«Una passeggiata di 40 – 50 minuti è sufficiente per cambiamenti psicologici, dell’umore e probabilmente per migliorare l’attenzione» spiega Kalevi Korpela, docente di psicologia all’Università di Tampere, che ha contribuito alla progettazione di diversi percorsi energetici che stimolano l’attività motoria, la consapevolezza e la riflessione.

Forse nessuno meglio dei sudcoreani, molti dei quali soffrono di stress da lavoro, dipendenza da tecnologia digitale ed eccessive pressioni accademiche, ha abbracciato con maggiore entusiasmo l’idea della Natura come medicina. Secondo un’inchiesta condotta dal colosso dell’elettronica Samsung, oltre il 70% dei sudcoreani dichiara che il lavoro, al quale dedica molte ore al giorno, è fonte di depressione. eppure questa nazione potente sotto il profilo economico vanta un antico culto degli spiriti della natura e un detto popolare che recita “Il corpo e la terra (e non il corpo e l’anima) sono una cosa sola”.

Il Saneum è uno dei parchi terapeutici ufficiali della Corea del Sud, ma entro il 2017 ne dovrebbero nascere altri 34, praticamente uno nelle vicinanze di quasi tutte le città principali.

La Chungbuck University offre un corso di studi in “terapie boschive” e il Servizio Forestale coreano prevede l’assunzione di 500 ranger specializzati nei prossimi due anni. Il servizio viene offerto a individui di ogni età in quanto comprende tutto, dalla meditazione prenatale nei boschi alle attività ricreative per i malati terminali, alle cerimonie funebri con relativa sepoltura. Accanto a Sobaeksan National Park è in via di costruzione un complesso terapeutico del valore di 100 milioni di dollari.

Il ministro delle politiche forestali Shin Won Sop, un sociologo che ha studiato gli effetti delle terapie boschive sugli alcolisti, spiega che il benessere degli individui è diventato un obiettivo ufficiale del suo ministero. Grazie alle nuove politiche, il numero di visitatori dei parchi coreani è salito da 9,4 milioni nel 2010 a 12,8 milioni nel 2013.

«Ovviamente sfruttiamo ancora le foreste per ricavarne legname, ma al momento il prodotto più utile dei parchi è il loro effetto sulla salute», afferma Shin.

I dati di cui è in possesso indicano che le terapie boschive riducono anche i costi sanitari e portano vantaggi alle economie locali.

«Ciò di cui abbiamo ancora bisogno, sono dati più specifici riguardo alle singole patologie e alle proprietà naturali che fanno la differenza. Dobbiamo scoprire quali caratteristiche producono i principali benefici psicologici e quali tipi di parchi sono più efficaci», sostiene Shin.

Gli scienziati coreani hanno usato la risonanza magnetica funzionale per osservare l’attività cerebrale di persone che guardavano immagini diverse. Quando i volontari guardavano scene urbane, la risonanza magnetica mostrava un maggior afflusso di sangue all’amigdala, la parte del cervello che gestisce paura e ansia. Le scene naturali, invece, provocavano l’attivazione della corteccia cingolata anteriore e dell’insula, aree associate con l’empatia e l’altruismo. Forse la Natura ci rende più buoni e più tranquilli, probabilmente ci spinge anche ad essere più indulgenti con noi stessi.

Il gruppo di ricercatori di Stanford di cui fa parte Greg Bratman ha esaminato il cervello di 38 volontari prima e dopo averli fatti camminare per 90 minuti in un grande parco. Dai risultati è emerso che stare all’aperto in un ambiente piacevole (ad esempio, dove non si venga divorati dalle  zanzare o colpiti da una tempesta di grandine) ci fa distaccare da noi stessi in modo positivo. La natura può incidere sul modo in cui dirigiamo la nostra attenzione su emozioni negative o meno.

Strayer è più interessato a capire come la natura influenzi la nostra capacità di risolvere situazioni complesse. La sua ricerca è basata sulla teoria della rigenerazione dell’attenzione elaborata da Stephen e Rachel Kaplan della University of Michigan. I due esperti di psicologia ambientale sostengono che gli elementi visivi dei paesaggi naturali (tramonti, torrenti, farfalle…) riducono lo stress e l’affaticamento mentale. Affascinanti ma non impegnativi, questi stimoli favoriscono un tipo di concentrazione leggera e delicata che consente al nostro cervello di divagare, riposare e riprendersi da quella che Olmsted definiva “l’irritazione nervosa” della vita cittadina.

Qualche anno fa Stephen Kaplan e alcuni colleghi hanno condotto un esperimento simile a quello di Bratman, scoprendo che una passeggiata di 50 minuti in un arboreto migliorava la capacità di attenzione esecutiva, come la memoria a breve termine. Lo stesso risultato non si otteneva camminando in città. “Immaginate una terapia priva di effetti collaterali noti, facile da seguire, che può migliorare il vostro funzionamento cognitivo a costo zero. Esiste. E si chiama interagire con la Natura”, hanno scritto i ricercatori nella loro relazione finale.

tratto da un articolo di Florence Williams

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